Fratelli d’Italia, per davvero

Ma voi lo sapevate di essere in modalità provvisoria? Io no. Adesso ho capito. Ho capito perché i calciatori non lo cantavano o i politici lo mugugnavano, storpiandone le parole, durante le occasioni ufficiali e le parate. L’inno di Mameli non era davvero l’ inno de noantri. È stato in realtà ufficioso e precario per 71 anni, da quando nel 1946 Alcide De Gasperi ne autorizzò ‘provvisoriamente’ l’uso come inno della neonata Repubblica italiana.

Dai, ce l’hanno un po’ data a bere. Certo c’era stata un po’ la querelle se non fosse stato meglio rappresentare l’Italia con il Và Pensiero verdiano (il coro del Nabucco). Ma alla fine eravamo tutti convinti del nostro Fratelli d’Italia (fra l’altro molto più brioso e ritmato). L’inno ha rappresentato una certezza granitica, una pietra miliare del nostro amor patrio. Fa venire in mente Sandro Pertini e l’urlo di Tardelli. Ce lo insegnava alle elementari la maestra, e noi, mentre la cantavamo a squarciagola mai e poi mai avremmo immaginato che la composizione di Mameli  – nata alla vigilia dei moti del 1848 e cantata diffusamente durante le cinque giornate di Milano –  fosse precaria. Una precarietà durata 71 anni, e finita solo ieri 15 novembre 2017 con la delibera della commissione Affari Costituzionali. A proposito: complimentoni, eh, alla fine ce l’avete fatta. Forse a far pensare di abilitare definitivamente il ‘Canto degli Italiani’ (così si chiamerà) è stata la partita Italia-Svezia, che ci ha escluso dai mondiali di calcio. Quei 90’ funesti hanno fatto accendere la lampadina, e anche venir voglia di stringersi a coorte.

 

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