Kekko dei Modà: dopo Sanremo, il Covid. «Il mio primo compleanno in quarantena, non vedo l’ora di riprendermi»

Compie 45 anni ma sarà il suo primo compleanno in quarantena. Francesco – Kekko – Silvestre dei Modà ha spiegato con un post sul profilo Instagram, che di ritorno da Sanremo ha contratto il Covid. La cosa positiva «è che il malanno è arrivato la settimana dopo il Festival, altrimenti sarebbe stato davvero un problema». Poi aggiunge: «volevo ringraziarvi per tutto l’affetto ricevuto durante la settimana di Sanremo. Non vedo l’ora di riprendermi e di riabbracciarvi ai concerti del tour. Vi voglio bene».

Durante il Festival, Kekko ha raccolto molti apprezzamenti anche per aver affrontato, come altri artisti, il tema della salute mentale e, in particolare, della depressione, di cui ha sofferto personalmente. La canzone Lasciami, in concorso al Festival, è nata proprio dalla sua rielaborazione di questa difficile esperienza. In particolare, nel testo della canzone, la parola veleno fa anche riferimento ai farmaci che si assumono come terapia. «Lasciami – scrive Kekko sul sito dei Modà   è la canzone più sincera che potessi scrivere. La depressione non la puoi raccontare a chi non la conosce, ma puoi comunque condividerla con chi come te la vive. Per questo ho preso coraggio e ho deciso di condividere quello che ho passato e che sto passando. Credo che la depressione viva dentro ognuno di noi e non so quanto si possa superare definitivamente. Di sicuro ho capito che bisogna essere forti, cercando di cambiare i punti vista. Ho paura? Si. Ma ho imparato che oltre le paure ci sono le cose più belle».

Kekko individua le cause del suo disagio: «Mi è successo perché reprimevo il fatto stesso di avere la depressione. Un neurologo e uno psichiatra mi hanno aiutato a comprendere questo male. Non bisogna vergognarsi e neanche sottovalutare, ma avere il coraggio di affrontare le cure. I farmaci li consideravo un veleno,li prendono solo i matti, pensavo. Mi hanno spiegato che non è così, mi hanno rimesso in piedi».

Secondo un recente rapporto della rivista Lancet sarebbero quasi un miliardo le persone che convivono con qualche forma di sofferenza psichica. Un problema in aumento: i dati raccontano che a causa del Covid, ansia e depressione hanno registrato un incremento pari al 25% nel corso del 2020. «È ora di trattare la salute mentale alla stesso modo di quella del corpo, perché il benessere o la sofferenza passano anche dall’anima», dice Gabriella Pravettoni, docente di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Umberto Veronesi.  «Ben venga quindi che artisti come i Modà, ma anche Levante (che ha parlato di depressione post partum) e Mr. Rain parlino di ansia e depressione come qualcosa da vedere e di cui prendersi cura e non certo di cui vergognarsi, lanciando un messaggio importante ad una platea vastissima come quella di Sanremo».
Tuttavia, nonostante lo sforzo che psicologi e psicoterapeuti compiono per educare e diffondere corrette informazioni riguardanti la salute mentale, «è ancora forte lo stigma riguardante le varie forme del disagio mentale (ansia, depressione, disturbo bipolare, schizofrenia) e tanti tendono a considerarla come una sconfitta personale. La paura, la vergogna portano allo sguardo dell’altro, al pregiudizio. Una malattia del corpo ci sembra inevitabile e priva di responsabilità e colpa, una della mente ci fa sentire e percepire come fragili e quasi come inaffidabili. Questo porta a nascondere assunzioni di farmaci e psicoterapie, che sono invece l’arma che abbiamo a disposizione per trattare queste patologie, come il paracetamolo per abbassare la febbre».

Come spiega Professor Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, Direttore emerito del dipartimento Neuroscienze ASST (Fatebenefratelli – Sacco, Milano)  e Presidente Comitato Tecnico Scientifico Fondazione Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere), «La depressione è una patologia diffusa che nell’arco della vita incontra il 15% delle persone. Vergognarsi di confessare di prendere farmaci contro la depressione dipende dal fatto che per più di duemila anni la depressione è stata confusa (anche per superficialità o ignoranza) con stati d’animo quali la malinconia, la tristezza, l’apatia. In quanto malattia, come tale documentata da numerosi studi, la depressione va curata esattamente come le patologie che riguardano il nostro corpo, inoltre le conseguenze di una forma depressiva  non curata causano la perdita complessiva di dieci anni di vita, poiché nell’organismo si creano ripercussioni cardiache, cerebrali, metaboliche».

Altro tabù è l’idea che i farmaci antidepressivi creino dipendenza: «La risposta – spiega il Professor Mencacciè no, poi ogni psichiatra sa che la cura per una prima forma di depressione deve proseguire dai nove ai dodici mesi, mentre per una seconda ricaduta il periodo di cura aumenta fino ai tre anni. Questa malformata idea della dipendenza – aggiunge e conclude – è sostanzialmente dovuta al fatto che i farmaci devono essere assunti continuativamente e l’assunzione non può essere interrotta da un giorno all’altro. Infatti alcune molecole dei farmaci antidepressivi sono più complesse da sospendere: per cui la maggioranza di essi puo’ essere sospesa in 1/2 mesi, altri invece richiedono 3/4 mesi, infine ogni farmaco deve essere calibrato in base alla persona, al genere, all’età, alle abitudini di vita più o meno sedentarie, alle sue condizioni di salute e malattie pregresse»