Violenza sulle donne: quando a costringere sono le barriere architettoniche

Lo scrivevo nel 2020 ma lo penso più che mai oggi che si parla di abbattimento di barriere e, in questi giorni in particolare, di violenza sulle donne: credo che violenza sia anche quella inflitta dalla società’,che impone  a una donna disabile di ‘stare a casa’ e di non fruire di ciò che offre la città. Banalmente a causa di barriere architettoniche che non vengono rimosse per un’ indifferenza e una mentalità’ diffusa che continuano  a minimizzare il problema. #lamiatorino #abbattiamolebarriere #anchebastaEcco ciò’ che scrivevo:

Disabilità sostantivo femminile

Una donna disabile è una persona due volte più fragile: perché donna e perché appunto disabile. Inoltre lungo il suo  percorso di vita, dall’adolescenza alla vecchiaia, le si presentano temi che già regolarmente sono impegnativi da affrontare: dalla sessualità alla maternità; una donna disabile è soggetta a tutte le patologie (tumorali e circolatorie ad esempio) che colpiscono le persone ‘normali’; infine, come già sottolineato, la solitudine e l’isolamento fisico e mentale la accompagnano per tutta la vita. Da qui la trasversalità dell’argomento disabilità, che investe tutti i settori analizzati da TOXD, da qui la necessità di rendere la città accessibile in ogni aspetto della vita sociale: dare la possibilità a una persona disabile (donna o uomo) di muoversi in autonomia significa garantirle il diritto di avere una qualità di vita più vicina possibile a quella delle persone normodotate, quindi di entrare nei cinema, nei teatri e nei ristoranti, così come negli uffici pubblici, negli ambulatori medici e negli ospedali. Tutto ciò significa aumentare il benessere dei cittadini perchè si offre loro una città più civile: quella che permette a tutti, inclusivamente, di partecipare alla vita sociale e dà loro diritto alla rappresentanza politica. Significa costruire una città che si prende cura. Ovvio, l’abbattimento delle barriere architettonica. Ma altrettanto ovvio, per l’autonomia, l’indipendenza e la dignità della persona, l’accesso al lavoro. E il conferimento alla persona, donna o uomo disabile, del giusto valore: se una persona disabile ha una laurea in giurisprudenza, è iniquo che trovi collocamento solo come centralinista. Per la rappresentanza e l’accogliento delle istanze di persone –  donne e uomini –  con fragilità o con disabilità, che quotidianamente  incontrano difficoltà nel vivere la realtà urbana torinese, si propone la costituzione di uno staff formato da professionisti (e caratterizzato da equità di genere nella sua composizione) che possa operare e agire contemporaneamente su diversi fronti/temi e che affianchi il Disability Manager, dialogando quotidianamente e trasversalmente con i diversi assessorati cittadini e con le aziende private, infine che abbia un canale di comunicazione accessibile e dedicata alle persone con disabilità che vivono a Torino.

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