Questa sono io, e questa è #tuttegiuperterra

Magari per molti è un’inutile e noiosa ripetizione, quindi quei molti voleranno via in un click.

Poi si era anche detto che in questo blog non avremmo mai parlato di questioni ‘mediche’ o comunque un po’ tristi. Però, a quanti non lo sapessero o a chi legge le storie di #tuttegiuperterra da poco, ci terrei a ‘raccontare’ qual è stato il mio percorso negli ultimi anni, e perché è nata la Onlus #tuttegiuperterra. E, di conseguenza, perché è importante donare (alla ricerca sulle malattie genetiche rare e per le strutture sanitarie di Torino che si occupano di fisioterapia neurologica). A proposito, il nostro IBAN: IT38 O030 4801 0000 0000 0092 171 (quella dopo IT 38 è la lettera o, non uno zero).
Istituto bancario di appoggio: BANCA DEL PIEMONTE

P.S. Troverete alcune incongruenze temporali nel pezzo che segue: è perché risale al pezzo pubblicato dal settimanale Gioia! nel dicembre 2016.

 

Maggio 2007. “Che strano, queste gambe rigide”, avevo pensato, uscendo da un ristorante a New York. Questo è stato l’esatto momento in cui mi sono accorta che qualcosa non andava, lo ricordo come un flashback molto nitido.

Tornata a Torino, la città in cui vivo, faccio per la prima volta una visita da un medico specializzato in neurologia. Mi ricordo l’atteggiamento gelido con cui mi chiede: “ma non aveva mai pensato di farsi visitare da un neurologo? Perché? In che senso? Comunque non ho una risposta chiara, solo ipotesi nebulose, in compenso mi vengono prescritti un sacco di esami: elettromiografia, potenziali evocati…. Inizio a non camminare bene: dapprima penso che succeda quando gli altri mi osservano (e io devo attraversare una stanza, o la strada). Il che inizia a complicare la mia vita sociale: lavorativa e personale, mi sento sempre più insicura anche in situazioni del tutto normali.

Passano cinque anni, cinque anni di esami e visite specialistiche, cinque anni in cui nessuno mi sa fare una diagnosi: mi dicono che sono stressata, e intanto devo sopportare l’imbarazzo di non riuscire ad alzarmi bene dalla sedia, o di cogliere sguardi interrogativi che sembra dicano ”Che succede?”. Non lo so, che mi succede. Fino a che mi fanno finalmente una diagnosi al Besta di Milano mi danno una risposta: paraparesi spastica genetica o Sindrome di Strumpell Lorraine. In pratica, un’alterazione di un gene che provoca il progressivo irrigidimento dei muscoli delle gambe. E’ una malattia subdola, che non si riconosce facilmente finchè i sintomi non sono eclatanti: difficoltà a deambulare e perdita dell’equilibrio. Infatti non conto le volte che sono caduta: due volte mi sono anche fratturata lo stesso braccio cadendo dalla bicicletta. Ora in bici non ci posso più andare. E’ una malattia capricciosa: non ha un decorso regolare, ma si alternano periodi in cui stai meglio con altri in cui va peggio, perché magari sei più stanca o hai il raffreddore e si abbassano le difese immunitarie. Non per tutti è uguale: c’è chi ha sintomi leggerissimi e vive benissimo, chi a quarant’anni e’ sulla sedia a rotelle. Io mi sono scocciata di sembrare un’ubriaca quando cammino e uso la stampella, anche perché finchè posso voglio essere indipendente. Certo, ho dovuto riorganizzarmi la vita, faccio un lavoro (ufficio stampa e pr) che richiede molto ‘presenzialismo’: eventi, conferenze, meetings, cene, serate…spesso scelgo di non prendervi parte, ma so che invece dovrei, e mi sento frustrata e triste. Non è facile accettare (io non l’ho ancora accettato completamente) che ‘prima’ potevi fare qualsiasi cosa, e adesso sei come ‘prigioniera’ e molte cose non le farai mai più. Ma poi lo scorso anno ho fatto ‘outing’ e ho detto a tutti le cose come stavano: non la situazione professionale e sociale è notevolmente migliorata , ma anzi ricevo ogni giorno incoraggiamenti e complimenti per come affronto la vita. Dato che non hai scelta se non vivere, tanto vale farlo nel miglior modo possibile. Mi hanno aiutato molto in questo processo di cambiamento la mia personal coach Roberta Liguori, che mi ha motivato ad affrontare ogni giorno con positività e grinta, ad agire e a pensare con altro un diverso punto di vista, inoltre mi segue da anni la Dottoressa Valeria Filipello, con un percorso terapeutico che prevede frequenti sedute di fisioterapia, l’unica ‘cura’ che esiste al momento per attenuare i sintomi della patologia.

E poi ora c’è #tuttegiuperterra: non un semplice hashtag, ma una parola portafortuna, e al contempo, per noi – un gruppo di amiche e amici – una parola d’ordine. Nasce una sera da un episodio divertente – io che in un locale affollato perdo l’equilibrio e cado, un belloccio che mi aiuta a rialzarmi e tutte le mie amiche che fanno finta di cadere perché, dicono, buttarsi a terra è un nuovo modo di trovare il fidanzato. Insomma, #tuttegiuperterra racchiude un po’ tutto: la mia patologia, la paraparesi, ma anche l’ironia e la voglia di leggerezza.

Per questo è nato un blog (), (su cui scrivo di lifestyle e non della malattia) e una Associazione per creare eventi e raccogliere fondi da destinare alla ricerca medica. Perché, se per me non sarà possibile, vorrei che per le prossime generazioni la paraparesi spastica fosse curabile, quasi come un raffreddore.

Spero che gli eventi possano servire anche ad informare: si sa così poco su questa patologia, invece è importante conoscerla, perché nella vita di tutti i giorni significa davvero tanto (anzi è tutto) essere accettati per come si è. Già si vive con un chiodo conficcato nel cuore. Facciamo in modo che gli altri siano il solvente che lo sciolgono, questo chiodo.